Macondo, 16 luglio 2011

“Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito”. (Gabriel Garcia Marquez)
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∞ Essere bambina, in Cina ∞
di Roberta Paraggio

C’è una metà dimenticata nella laboriosa e affollatissima Cina, maltrattata, abbandonata e senza voce in capitolo; c’è Xinran, una giornalista, autrice di questo “Le figlie perdute della Cina” (Longanesi 2011, caso editoriale in tutto il mondo), madre e donna che con crudezza e commozione cerca di rendergli giustizia, di ridargli la parola negata da secoli di ignoranza, povertà e credenze popolari.

In Cina, un sistema economico cristallizzato e arretrato, che non è riuscito a far fronte al boom economico, se non con leggi re
strittive in materia di controllo delle nascite, ha creato un’implosione sospetta delle nascite femminili. Neonate che scompaiono, famiglie che si allontanano dai propri villaggi per far nascere i propri figli altrove, con la speranza che siano maschi, che procurino forza lavoro, terra e pane.
Ci sono i dati sconvolgenti in questo libro, ma restano lì a far asettica statistica, quello che fa tremare sono le storie e le immagini che sembrano risalire ad altre epoche, a povertà dimenticate e superate,che come un getto gelato ci lasciano allibiti, nel presente, nel qui e adesso che è invece la crudeltà contemporanea.

Un piedino di neonata sporge da un secchio pieno d’acqua sporca e rifiuti di cibo, si muove ancora, piccolissimo e disperato, appartiene ad una bambina, ad una femmina che non lo userà mai per camminare, non può vivere, non avrà di che mangiare, sulla sua famiglia scenderà la vergogna, un velo impietoso di dolore che va celato, in attesa che nasca il maschio, quello che accenderà l’incenso agli dei nel tempio.
Storie di madri, di donne straziate, di padri solitari che abbandonano le proprie figlie in stazioni notturne e traboccanti,con la speranza che qualcuno le adotti, di ragazze madri travolte dall’ignoranza mescolata all’improvvisa occidentalizzazione dei costumi sessuali. Una società che si scontra sul doppio binario generazionale dei padri ancorati ai vecchi costumi e dei figli con un piede in una modernità che è solo scenografica.
La legge proibisce gli aborti selettivi e allo stesso tempo, lo Stato rilascia “certificati d’onore per genitori di figlio unico”, in nome di una contraddizione che inevitabilmente porta al reiterato sterminio selettivo che non risparmia nessuno, dalle studentesse ragazze madri alle contadine, fino alle professioniste affermate.

Sterminio può suonare forte come termine, può riecheggiare orrori su cui si spendono ogni anno lacrime di giustissimo pentimento, ma le cifre sono chiare e terribili, 120 mila bambine adottate alla fine del 2007, dati impossibili su quelle gettate, soppresse, strangolate dallo stesso cordone materno che diventa carnefice. Dunque, come si può utilizzare un termine diverso?

Ma Xinran, ha fatto di più che ascoltare le madri anonime, ha fondato l’associazione benefica The Mothers’ Bridge of Love, che si occupa dei bambini cinesi in difficoltà, in collaborazione con chi, in altri paesi ha adottato queste figlie della Cina, che vivono divise tra l’affetto della nuova famiglia e lo spaesamento di non sapere perché sono state abbandonate, con la speranza forse di ritrovarsi un giorno, di riabbracciare quelle madri che hanno lineamenti comuni, per stringersi e asciugare quegli occhi a mandorla che non hanno mai smesso di piangere.

Xinran, “Le figlie perdute della Cina”, Longanesi 2011
Giudizio: 3,5 / 5 – Agghiacciante
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∞ Fedele alla linea ∞
di Piero Ferrante

“E’ un paese che non può lasciarti indifferente, qualsiasi rapporto tu abbia avuto con lui, che lo ami o che lo odi”. L’Unione Sovietica ammirata attraverso gli occhi del filosofo e scrittore rumeno Vasile Ernu è racchiusa in questa citazione che apre “Nato in Urss”, diario di bordo attraverso un mondo che non c’è più, editato dalla casa editrice Hacca a novembre dell’anno passato.

Immaginate di calpestare selciati scomparsi, percorrere strade inghiottite dal tempo tenendo per mano soltanto la corporeità di un ricordo. Immaginate di rivivere, goccia a goccia, le sensazioni infantili, sforzandovi di assumere le pose di allora, di leggere con le emozioni di bambino ed il linguaggio da adulto. Immaginate il mondo spaccato in due. Questo è l’assioma di Ernu. Non giudizievole e risolutivo, solo descrittivo. Perché, con un tono da comunista mai pentito, gli spetta parlare inevitabilmente di quel mondo fermatosi d’improvviso non all’impatto contro un muro, ma di fronte al suo crollo; dell’Atlantide dell’ideologia che è stata la terra del Soviet, la grande repubblica delle repubbliche socialiste, la terra della speranza alternativa, “il più grande progetto politico-utopico della modernità”.

Ernu non è uno storico, non ne maneggia gli strumenti. Per questo “Nato in Urss” non è altro che una strampalata, sentimentale, ironica accozzaglia di soggetti ed elementi, di eroi e paesaggi. E’ comparabile ad una bancarella di cianfrusaglie, di quelle polacche, strabordante di cimeli, gonfia di Zorki dalla vita infinita, cipolle da tasca con l’effige di Lenin, bottoni artefatti dei cappotti dell’Armata Rossa. Patacconi tanto goffi da finire per essere ricoperti da una patina di poetica dignità che li assurge al rango di ricordi. Il materiale che espone Ernu è quello d’uso comune, proletario e non. Alcool, sesso, barzellette, case, letteratura, giochi. Persino la tualet sovietica trova parole per essere attualizzata e spiegata agli occhi pochi fantasiosi dell’Occidente capitalista, diventando il locus privilegiato dell’artista alla ricerca dell’intimità nel caos della komunalka.

Ogni tema è un racconto (in tutto 53), ogni racconto un contenitore, ogni contenitore un viaggio. Ernu, nel suo approccio scanzonato, pure rende la quotidianità della Rivoluzione bolscevica un cammino epico e trionfale. Quando la cucina era luogo di socialità, Lenin un compagno di tutti, il bere l’essenza stessa del comunismo (“Costruire il comunismo senza alcool è come fare il capitalismo senza pubblicità”), ed anche nell’atto supremo di una cacca occorreva assumere “la posa dell’aquila”. In questo sforzo letterario insolito e sfizioso, il filosofo rumeno riesce a donare una nuova immagine all’Urss. Nei suoi spruzzi giocosi e fieri di quotidianità, il Gigante dai piedi di ferro non è soltanto il mentore della pianificazione quinquennale, dell’industrializzazione forzata, della corsa all’armamento, ma la casa comune di un popolo orgoglioso e creativo, dedito alla causa del Partito ma ancora capace di darci dentro con i lampi di genio.

Quel che ne risulta è l’agiografia di un Santo rosso e potente, capace di miracoli laici e produttivi e di scatti d’impeto. E come in ogni agiografia, quel che conta è lo stile accattivante, il guinzaglio retorico, l’affabulazione golosa, che Ernu maneggia in pieno. “Leggete, invidiate, sono cittadino dell’Unione Sovietica”

Vasile Ernu, “Nato in Urss”, Hacca 2010
Giudizio: 3.5 / 5 – Dorogoi Tovarišči!
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∞ Die hard: Satana duro a morire ∞
di Angela Catrani

La figura di Satana, quasi assente nell’Antico Testamento se non come emissario di un Dio supremamente buono e supremamente cattivo e dispotico, diventa necessaria nel Nuovo Testamento come avversario perfetto di Gesù Cristo, nella visione quasi manichea di un Dio buono contro un demone cattivo, il diavolo appunto.

Dalle ultime vicende narrate nell’Antico Testamento ai primi Vangeli trascorrono quasi tre secoli, tre secoli bui, di dominazione straniera per gli ebrei palestinesi, una dominazione che non impediva il culto ma limitava di fatto la libertà, in cui i Romani rappresentavano tutto ciò che era male, per i costumi sicuramente più liberi di quelli dei giudei dei primi secoli a.C. e per il modo di fare supponente dei dominatori, che ritenevano i conquistati dei barbari, chiunque essi fossero.

Da questa prigione della mente oltre che fisica nacquero delle sette millenaristiche e apocalittiche, in cui la figura dell’Angelo maledetto, dell’Oppositore (così significa la radice ebraica stn, da cui Satana) assurge a elemento dominante contrapposto a un Dio di infinita bontà.

Gesù Cristo molto probabilmente, almeno dai documenti emersi dai rotoli ritrovati a Qumran, faceva capo a una di queste sette, gli Esseni, che ritenendosi superiori ai giudei, li criticavano aspramente. Da qui, dalla fiera contrapposizione di Gesù al capo di tutti i demoni dell’Inferno, che sconfigge risorgendo da morte, nacque la figura del Diavolo, che ha dominato incontrastato per duemila anni.

Georges Minois, nella sua breve ma esaustiva Piccola storia del diavolo ripercorre l’evoluzione che ebbe Satana dai primi secoli dopo Cristo fino ai nostri giorni, in cui il mito del diavolo viene ripreso in contrapposizione ai costumi correnti soprattutto dagli adolescenti, nella musica Heavy Metal e in un certo tipo di filmologia o letteratura.

Ma può ancora il diavolo fare presa nella coscienza oggi? Ancora ne abbiamo paura? Satana rappresenta, nel nostro immaginario, il Male, quel sentimento che sporca i nostri pensieri, come l’invidia, o la perfidia, o il sospetto, ed è sicuramente più facile attribuirlo ad altro fuori di noi, in una giustificazione dei nostri comportamenti dettati solo dal “diavolo che ci tenta”.

La Chiesa, oggi, pur non potendo rinnegare il diavolo (anche se non è dogma credere nel diavolo dato che sarebbe teologicamente impossibile), pure è molto attenta a non palesarlo, a non parlarne, cercando nei comportamenti malvagi e malati degli uomini anche l’aiuto della psicologia e della medicina.


Eppure resta nell’immaginario collettivo la paura del diavolo, che è anche attrazione, proprio perché è negazione e tabù. Probabilmente, se riuscissimo a razionalizzare i nostri comportamenti e i nostri sentimenti e ridurli all’umano sentire, che è fatto di bene e di male, riusciremmo una volta per tutte a non avere più paura del diavolo, e nemmeno del lupo cattivo.

Georges Minois, “Piccola storia del diavolo”, il Mulino 1999
Giudizio: 3 / 5 – Didattico
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I LIBRI CONSIGLIATI DA STATO QUOTIDIANO
IL ROMANZO: Paolo Grugni, “L’odore acido di quei giorni”, Laureana 2011
IL SAGGIO: Adriano Labbucci, “Camminare, una rivoluzione”, Donzelli 2011
IL CLASSICO: Salman Rushdie, “I figli della mezzanotte”, q.e.

L’HAI UCCISO TU, COL TUO SASSO. DIECI ANNI DOPO CARLO
Giuliano Giuliani, Haidi Giuliani, Antonella Marrone, “Un anno senza Carlo”, Dalai 2002
Simona Orlandi, “Carlo Giuliani. Anche se voi vi credete assolti”, Aliberti 2006
Paola Staccioli, “Per sempre ragazzo. Racconti e poesie a dieci anni dall’uccisione di Carlo Giuliani”, Tropea 2011

I LIBRI PIU’ VENDUTI A MANFREDONIA, LIBRERIA EQUILIBRI
1. Susanna Tamaro, “Per sempre”, Giunti 2011
2. Carlos Ruiz Zafon, “L’ombra del vento”, Mondadori 2008
3. Geronimo Stilton, “Vacanze per tutti”, Piemme 2008

LIBRI… IN EQUILIBRI
di Libreria Equilibri
Laura Esquivel, “Dolce come il cioccolato”, Garzanti 2008
La cucina fa parte delle magnifiche arti a cui l’umana specie ha la fortuna di accedere. E la cucina di Tita, sensuale protagonista del romanzo della Esquivel, è un’arte a tutti gli effetti e tra le più raffinate. Le sue ricette – grazie all’utilizzo di ingredienti ricercati e all’alchimia della loro unione – sono l’espressione più alta della passione nei confronti dell’uomo che le è stato negato.

La medesima metaforica passione che Tita manifesta nei confronti della magia dell’Esistenza tutta. Tita e Pedro si amano già da adolescenti ma, a causa delle regole sociali alle quali ancora agli inizi del secolo scorso le donne messicane erano sottoposte, a Tita non è concessa la possibilità di sposarlo. Pedro, pertanto, acconsentirà a sposare la sorella maggiore con il segreto intento di continuare a vedere la sua giovane amata. È nella consacrazione alla cucina, con la messa in opera di ricette intriganti e ricche di quegli ingredienti piccanti che danno l’accento ai sapori, attraverso un rito dal gusto magico, con l’aiuto di tecniche alchemiche che hanno il potere di cambiare i destini delle persone, che Tita riuscirà a raggiungere l’amato con tutta la sua sensuale dedizione. Ogni mese una ricetta nuova ed appetitosa andrà ad alimentare una passione calda e vergine, fino a culminare in un amore impetuoso impossibile da tenere a bada. Tita e Pedro iniziano così ad amarsi in clandestinità, mentre tutto intorno a loro nel corso degli anni si trasforma, tutto tranne la loro passione che, al pari delle ricette culinarie di Tita, rinnoverà puntualmente un appetito atavico e senza fine.

È il Messico delle rivoluzioni, delle tradizioni che cambiano perchè in continua trasformazione, di decadenti atmosfere borghesi che somigliano sempre più a quadri vuoti dalla cornice pomposa. È il Sud America impregnato di odori seducenti e di immagini surreali, di fantasmi che tornano a vagare nelle stanze in cui hanno vissuto vite falsate, quel continente caldo e trepidante dove tutto viene consumato attraverso una passione estrema e sensuale, fatta di fuoco.E sarà proprio il fuoco, che mai si era spento tra i due amanti, che renderà immortale il loro amore, proprio quando il destino sembra concedere loro una chance di vita. Un fuoco che nel cancellare il teatro di un’intera epoca di ingiustizie e spreco di sentimenti veri, dove gli uomini e le donne erano costretti a recitare parti assegnate loro da un destino crudele, spesso manipolato da esseri umani altrettanto crudeli, andrà a bonificare il palcoscenico di tanta passione in cattività, trasformandolo nel più fertile terreno di vita. La vita appassionata di Tita, donna dolce e forte che ha saputo canalizzare la sua passione attraverso il magico connubio di cibo e amore, che non smetterà mai di esistere nei nostri cuori con quella innata gioia di vivere che emana aromi e sapori inebrianti, sollecitando il senso più lusinghevole che possediamo: il gusto.

Per contatti, segnalazioni, consigli, comunicazioni, collaborazioni: macondolibri@gmail.com

Macondo, Stato Quotidiano

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